Atlanti, Anunnaki e astronauti
- Elìa
- 6 lug
- Tempo di lettura: 16 min
Cosa sapevano davvero le civiltà scomparse?
Forse non ricordiamo. Ma abbiamo scritto ovunque. Le civiltà antiche hanno lasciato indizi sparsi tra pietre, mappe, templi e racconti: gli dèi venivano dal cielo, portavano strumenti, misuravano le stelle. Oggi, quelle memorie si chiamano “miti”. Ma se fossero frammenti di una civiltà scomparsa… o venuta da fuori?
Esiste una mappa del mondo che non ci viene insegnata.Non è quella politica, né quella storica. È una mappa cancellata, scolpita nelle rovine, disegnata nei miti, incisa nel cielo.
E se tutti i racconti di dèi venuti dal cielo, di uomini insegnati dalle stelle, di guerre tra giganti e creature alate, non fossero solo archetipi, ma eco di un contatto reale? Una memoria condivisa da culture lontanissime tra loro –che non potevano comunicare ma che raccontano la stessa storia.
I Sumeri parlano degli Anunnaki, “coloro che dal cielo scesero sulla Terra”.
I Dogon conoscono Sirio B, stella invisibile a occhio nudo, da millenni.
I Maya tracciano calendari celesti precisi come orologi atomici.
Gli Aborigeni australiani parlano di esseri “venuti da sopra le nuvole” con bastoni di luce.
Come facevano a sapere queste cose?
Chi ha insegnato loro a leggere il cielo, a orientare i
templi, a fondere metalli rari che ancora oggi non sappiamo riprodurre del tutto?
“Ciò che oggi chiamiamo mito, un giorno sarà chiamato realtà codificata.”— Elias L’Artista, da Starman
Il problema non è la mancanza di prove. È che le prove non rientrano nel nostro schema mentale. E quando le prove sfidano la narrazione ufficiale, vengono archiviate come folklore.
Ma forse è tempo di rovesciare il tavolo.
Forse i miti, i monumenti, le mappe e persino i materiali impossibili raccontano un’unica cosa:c’è stato un prima.Una civiltà madre.Un contatto.Un’eredità dimenticata.
Questo articolo esplora quello che la storia ha nascosto sotto la polvere, riunendo indizi da tutto il mondo per rispondere alla domanda: che cosa sapevano davvero le civiltà antiche?
E soprattutto: chi glielo ha detto?
Sei pronto a rimettere insieme i frammenti?
📍 Ecco la mappa del viaggio che stiamo per fare:
1. Introduzione: la mappa cancellata della Storia E se tutto ciò che chiamiamo “mito” fosse un frammento di una civiltà più grande?
2. Gli dei venuti dal cielo: tradizione universale o invenzione moderna? – Sumeri, Andini, Aborigeni: stessi racconti, stessi strumenti – I ‘carri di fuoco’ come simboli tecnologici
3. Astronomia ancestrale: chi ha letto il cielo prima di noi? – I Dogon e Sirio – I calendari precessionali – La sfida di Göbekli Tepe
4. Mappe impossibili e metalli scomparsi – L’enigma della Mappa di Piri Reis – L’oricalco e gli altri materiali “non terrestri”
5. Il caso dei “grandi dimenticati” – Perché l’archeologia ufficiale ignora certi dati? – Guerre accademiche e politica della verità
6. Verso un’archeologia interplanetaria
1. Introduzione: la mappa cancellata della Storia
Non tutto quello che è accaduto è stato scritto. E non tutto quello che è stato scritto è stato conservato.
Ma qualcosa è rimasto.
Nascosto tra i margini delle cronache ufficiali, in ciò che gli accademici chiamano mito.
Ma se il mito fosse solo il frammento sopravvissuto di un racconto molto più grande?Un racconto reale. E volutamente cancellato.
Quando parliamo di “civiltà scomparse”, ci riferiamo spesso a culture di cui restano solo pietre mute e ipotesi deboli. Ma c’è una teoria – sempre più supportata da dati archeologici non allineati – secondo cui esisterebbe una civiltà madre, antecedente a tutte le altre, che ha lasciato frammenti ovunque.
Non parliamo di Atlantide nel senso pop da romanzo. Parliamo di una struttura culturale globale, che ha generato conoscenza avanzata (in astronomia, metallurgia, geometria sacra, cosmologia) e ha poi ceduto il passo alle culture che oggi chiamiamo “prime”.
Ecco il vero tabù: che i Sumeri non siano i primi, che gli Egizi non abbiano costruito le piramidi “da zero”, che i miti aborigeni non siano folklore, ma cronaca codificata.
È per questo che l’archeologia ufficiale non riesce a spiegare:
come facessero i Dogon a conoscere una stella binaria invisibile a occhio nudo
perché antiche mappe raffigurino terre emerse oggi sotto i ghiacci
perché ovunque nel mondo esistano leggende di esseri scesi dal cielo con poteri e conoscenze superiori
La risposta più comoda è: fantasia.
La risposta più inquietante è: memoria.
“Queste storie sono state raccontate per così tanto tempo, in così tanti luoghi,da perdere ogni diritto di essere considerate coincidenze.”— Elias L’Artista, da Starman
Così emerge una nuova mappa della storia:una mappa fatta di linee interrotte,di punti non connessi che, una volta collegati, raccontano un’altra storia.
Una storia che parla di dèi discesi dal cielo, di incontri con portatori di conoscenza, di strumenti che oggi chiameremmo tecnologia, e di un sapere globale che è stato sepolto — o dimenticato — intenzionalmente.
Nel resto dell’articolo, esploreremo questa mappa non ufficiale.
Inizieremo da quello che accomuna tutte le civiltà:il racconto di dèi venuti dall’alto.
2. Gli dèi venuti dal cielo: tradizione universale o invenzione moderna?
C’è un racconto che attraversa i secoli, le lingue e i continenti. Lo trovi nelle tavolette sumere e nei canti Hopi, nei glifi maya e nei miti nordici, nelle rocce aborigene e nei testi vedici. Un racconto che cambia nome, ma non trama.
Gli dèi vennero dal cielo. Portarono la conoscenza. Insegnarono agli uomini. E poi se ne andarono.
Lo schema è ricorrente al punto da essere sospetto.
E se fosse solo una coincidenza?
O una creazione collettiva, frutto della paura e del desiderio ancestrale dell’uomo di sentirsi protetto da entità superiori?
Oppure — e qui la domanda si fa sottile —se stessimo parlando di un ricordo? Non di fantasia, ma di memoria culturale profonda. Il ricordo deformato ma autentico di un contatto, reale quanto rimosso.
🌐 Stessi dèi, stessi strumenti
Nel 1876, i primi traduttori delle tavolette di Nippur scoprirono il nome Anunnaki: “coloro che dal cielo discesero sulla Terra”. Erano esseri potentissimi, dotati di strumenti avanzati, capaci di volare, di “scavare con il fuoco”, e di manipolare l’essere umano come si plasma un impasto.
Lo stesso vale per i Viracocha delle Ande: vennero dal cielo, insegnarono l’agricoltura e la matematica, poi scomparvero. O gli Oannes della Mesopotamia, metà uomini e metà pesci, usciti dal mare per rivelare i segreti delle stelle. O i Wandjina aborigeni, figure con elmi e occhi tondi, che non parlano ma comunicano con la mente, e discesero dalle nuvole per “correggere l’uomo”.
Persino nella Bibbia, i Nefilim sono definiti “figli degli dèi”, che si unirono alle donne della Terra generando una razza “di giganti, di eroi antichi, uomini famosi”.
Trovi le stesse funzioni, gli stessi ruoli, e spesso gli stessi oggetti:
bastoni di luce,
scudi volanti,
carri di fuoco,
armi che “bruciano come il sole”.
🛸 Carri di fuoco e tecnologia simbolica
Il linguaggio antico non conosceva “razzi”, “macchine”, “drone” o “laser”. Descriveva ciò che vedeva con metafore coerenti al proprio mondo. Ma cosa sono i “carri di fuoco” su cui sale il profeta Elia, o le ruote dentro le ruote della visione di Ezechiele, o le nuvole luminose che trasportano i messaggeri di Yahweh, se non descrizioni di qualcosa che vola, emette energia, trasporta, comunica?
“Laddove i miti parlano di fuoco che scende dal cielo,oggi leggiamo tecnologia. Dove narrano di dèi,forse c’erano solo uomini… ma non di questa Terra.”— Elias L’Artista, da Starman
Il problema è che il linguaggio mitico ha una doppia natura. Per chi lo prende alla lettera, è fantasia. Per chi lo riduce a simbolo, è psicologia. Ma se fosse entrambe le cose, e anche una terza? Un codice cifrato, una cronaca mascherata da metafora, scritta in un tempo in cui dire la verità avrebbe significato la fine della trasmissione.
📦 Box di approfondimento
🛸 “Chi sono gli Anunnaki?”
Il termine “Anunnaki” compare per la prima volta nei testi sumero-accadici, con riferimento a un gruppo di dèi che vivevano nel cielo e che, secondo la mitologia, “scendevano sulla Terra” per governare e istruire l’umanità.
Il nome significa letteralmente: “coloro che dal cielo alla terra discesero”. A partire dagli anni ’70, con Zecharia Sitchin e altri autori, è nata l’ipotesi paleoastronautica che li interpreta non come divinità mitiche, ma come esseri reali di origine extraterrestre, intervenuti nel nostro sviluppo.
Molti dei loro attributi — strumenti, poteri, conoscenze avanzate — sono oggi letti come tecnologie troppo avanzate per essere comprese dai popoli antichi.
Dunque: È possibile che popoli diversi, in epoche lontanissime, abbiano inventato la stessa bugia?
O è più probabile che abbiano visto qualcosa di simile,e l’abbiano raccontato nel solo modo che conoscevano: il mito?
Nel prossimo segmento esploreremo un altro punto in comune tra queste civiltà: l’osservazione precisa del cielo, la conoscenza di astri invisibili e cicli millenari. Perché forse il vero sapere degli “dèi” non era solo volare… ma leggere il cosmo.
3. Astronomia ancestrale: chi ha letto il cielo prima di noi?
Per comprendere chi siamo, dobbiamo alzare lo sguardo. Non in senso poetico — ma scientifico. Perché è proprio tra le stelle che si annida uno dei paradossi più inquietanti dell’antichità: la conoscenza astronomica di civiltà che, secondo la storia ufficiale, non avrebbero dovuto sapere nulla.
“Là dove non esistevano telescopi, c’era conoscenza. Là dove il cielo era solo mistero, era invece codice.”— Elias L’Artista, da Starman
Dall’Africa al Sudamerica, dal Medio Oriente all’Oceania, le culture più antiche mostrano una familiarità impressionante con il cielo notturno: le sue rotazioni, le congiunzioni, i cicli di lungo periodo…come se qualcuno glieli avesse mostrati dall’alto.
🌟 Il mistero Dogon e la stella invisibile
Nel cuore del Mali, la tribù dei Dogon custodisce da secoli una cosmologia dettagliata: conoscono Sirio A, ma soprattutto Sirio B, una stella invisibile a occhio nudo, scoperta dalla scienza solo nel 1862,e confermata come nana bianca molti decenni dopo.
I Dogon non solo sanno della sua esistenza. Ne conoscono la densità, l’orbita di 50 anni, la compagna invisibile.
Come?
Quando furono interrogati dagli antropologi francesi Griaule e Dieterlen, risposero che quella conoscenza fu donata loro da esseri venuti dal cielo, “i Nommo”, discesi in tempi remoti in un’arca di metallo rotonda. Li descrissero non come dèi, ma come maestri d’acqua, metà uomini, metà anfibi.
Il racconto fu archiviato come “mitologia esotica”. Ma nessuna cultura pre-telescopica al mondo ha mai avuto dati così precisi su un sistema stellare binario.
Eppure… i Dogon ce l’hanno.
🗓️ I calendari del tempo lungo
Molti popoli antichi sembrano conoscere cicli astronomici superiori al ciclo annuale:
La precessione degli equinozi, un lento movimento dell’asse terrestre che dura 26.000 anni.
L’orbita lunare in cicli di 18,6 anni.
Le congiunzioni planetarie cicliche su secoli.
I Maya, ad esempio, basavano la loro intera cosmologia sul “Lungo Computo”, un sistema che indicava il tempo come struttura ciclica, e che termina nel 2012, anno interpretato (erroneamente) come profezia apocalittica. In realtà, si trattava della fine di un’era di 5.125 anni, perfettamente sincronizzata con cicli astronomici reali.
Da dove proveniva tutta questa sapienza? La risposta accademica è vaga: “osservazione empirica, tramandata oralmente.” Ma com’è possibile osservare cicli che durano migliaia di anni, senza strumenti, senza archivi scritti, senza errore?
🏛️ Göbekli Tepe: quando il cielo è inciso nella pietra
Nel sito di Göbekli Tepe, in Turchia, datato almeno al 9600 a.C., sono state rinvenute strutture megalitiche perfettamente orientate alle costellazioni. I rilievi presenti su alcune colonne rappresentano:
La costellazione del Cigno (Cygnus), associata in molte culture all’anima e al ritorno agli dèi.
Il Sole tra leoni gemelli, simbolo associabile all’equinozio di primavera in un preciso periodo della precessione.
Questo luogo fu intenzionalmente sepolto, come per proteggere — o nascondere — qualcosa. Eppure è lì, a testimoniare che 12.000 anni fa, qualcuno costruiva in allineamento con le stelle.
“Göbekli Tepe non è solo un tempio. È una memoria in codice. E qualcuno ha voluto che non venisse cancellata.”— Elias L’Artista, Starman
📦 Box di approfondimento
🌀 Cos’è la precessione degli equinozi?
È un fenomeno astronomico causato dal lento movimento dell’asse terrestre, che fa sì che l’orientamento della Terra rispetto al cielo cambi nel tempo. Il ciclo completo dura circa 26.000 anni, ed è visibile solo se si osservano le stelle per generazioni intere.
Le culture antiche che ne parlano (Maya, Egizi, Vedici) non avrebbero potuto conoscerlo, secondo l’archeologia ortodossa. Eppure, lo descrivono con una precisione sbalorditiva.
Tutte queste evidenze puntano nella stessa direzione: le civiltà antiche conoscevano il cielo meglio di quanto ci aspetteremmo.
E forse, non da sole.
Nel prossimo segmento, ci spingeremo verso le mappe che non dovrebbero esistere e i materiali che la scienza non sa spiegare: dati scomodi, archiviati, eppure troppo precisi per essere casuali.
4. Mappe impossibili e metalli scomparsi
C'è un archivio parallelo, invisibile nei musei ufficiali e dimenticato nei programmi scolastici. È fatto di reperti che non si spiegano, oggetti fuori tempo, e soprattutto… mappe.
Mappe che, se autentiche, riscrivono la storia della navigazione, della geografia e delle conoscenze pre-moderne.
“Ogni volta che troviamo qualcosa che non dovrebbe esistere, la scienza la chiama anomalia. Ma troppe anomalie fanno un sistema.”— Elias L’Artista, Starman
Queste mappe non sono leggende. Sono documenti. Tracciati precisi, vergati su pergamena, incisi su metallo o disegnati su pelle d’animale, che mostrano parti del mondo inaccessibili all’epoca in cui sono stati creati.
🧭 La Mappa di Piri Reis: Antartide senza ghiacci?
Nel 1513, l’ammiraglio ottomano Piri Reis compilò una carta nautica basata — a suo dire — su “molte mappe antiche” risalenti ad Alessandro Magno e oltre. La mappa, oggi conservata al Palazzo Topkapi di Istanbul, mostra il Sud America, l’Africa occidentale e una costa antartica senza ghiacci.
Il punto non è solo che l’Antartide fu ufficialmente scoperta nel XIX secolo. Il punto è che la porzione disegnata corrisponde alla topografia subglaciale rilevata dai radar moderni solo nel 1958, durante l’Anno Geofisico Internazionale.
Come poteva un cartografo del Cinquecento — senza satelliti, radar o rilievi aerei — conoscere il profilo della Terra nascosta sotto i ghiacci antartici?
I debunkers parlano di deformazioni cartografiche, errori di copia, suggestioni. Ma la precisione del disegno, unita al livello tecnico di proiezione usato, supera ciò che la scienza dell’epoca poteva produrre. E non è un caso isolato.
Anche la mappa di Orontius Finaeus (1531) e quella di Buache (1737) mostrano l’Antartide priva di calotte glaciali, con fiumi e catene montuose esatte. Da dove provenivano queste fonti originarie?
“C’è un’eco cartografica di un’epoca remota.Un mondo solcato da navigatori dimenticati, che possedevano una visione globale.”— Graham Hancock
🔩 L’oricalco e gli altri metalli scomparsi
Nel 2015, al largo della Sicilia, vicino Gela, furono recuperati 39 lingotti da un relitto antico. Erano di una lega mai vista prima: rame, zinco, nichel e tracce di piombo e ferro. I test confermarono che non si trattava di ottone, ma di qualcosa di più antico e più puro.
Gli archeologi proposero con cautela: oricalco. Un metallo leggendario, citato da Platone nel Crizia, come la seconda sostanza più preziosa dopo l’oro nella perduta Atlantide. Un metallo che “brillava di fuoco” e che nessuno, prima di allora, aveva mai visto in forma concreta.
Come spiegare la presenza di un materiale mitico? Fu mai prodotto realmente, oppure ci troviamo di fronte a un recupero tecnologico frammentario di conoscenze precedenti?
Il discorso si allarga.
Gli Indù parlano del vajra, una sostanza indistruttibile, conduttrice di energia.
I testi egizi menzionano il “ferro celeste”, prima ancora dell’uso del ferro comune.
Le cronache precolombiane raccontano di “metalli cantanti” in grado di vibrare senza tocco.
Molti materiali citati nei miti sembrano essere leghe o elementi non catalogati, o comunque non riproducibili con la nostra tecnologia attuale se non a costo elevatissimo.
Chi li ha creati? E soprattutto: dove sono finite le tecnologie che li forgiavano?
📦 Box di approfondimento
🗺️ Cos’è l’oricalco?
Il termine deriva dal greco orichalcum, che significa "rame di montagna" o "rame lucente". Platone lo descrive come un metallo che rivestiva templi e mura di Atlantide, brillante come il fuoco, ma più prezioso del rame.
Nel tempo, è stato associato a leghe mitiche, e la sua esistenza fu a lungo ritenuta simbolica. Il ritrovamento dei lingotti di Gela ha riaperto la questione: l’oricalco esisteva davvero, ma chi lo produceva?
Le mappe e i metalli sono più che anomalie: sono testimoni scomodi. Ogni volta che ne emerge uno, si apre uno squarcio: un frammento di civiltà che sapeva navigare, costruire, fondere su scala globale… prima della Storia.
Eppure, ogni squarcio viene presto ricucito. Ignorato, ridicolizzato, respinto.
Perché?
Nella prossima sezione, entreremo nel cuore politico del silenzio archeologico.
Chi decide cosa va ammesso nei musei?
Perché certe scoperte non fanno notizia?
E cosa succede a chi prova a raccontare una verità diversa?
5. Il caso dei “grandi dimenticati”
“La storia non si scrive coi fatti. Si scrive con ciò che si decide di conservare.”— Elias L’Artista, Starman
Ogni anno emergono decine, talvolta centinaia di reperti che non dovrebbero esistere. Oggetti fuori contesto. Mappe impossibili. Leghe sconosciute. Templi troppo antichi. Eppure, il lettore comune — quello che sfoglia le pagine di un libro scolastico o guarda un documentario da prima serata — non ne saprà mai nulla.
Perché?
La risposta più ovvia è: perché sono bufale. Ma la realtà è più complessa, e più inquietante.
Molti di quei reperti esistono davvero. Sono stati catalogati, fotografati, esaminati. Ma poi accantonati, silenziati, dimenticati. Perché non entrano nello schema.
E lo schema vale più del dato.
🧠 L’archeologia come atto politico
L’archeologia non è una scienza esatta. È una disciplina interpretativa, stratificata, fondata su paradigmi culturali. E ogni paradigma è un accordo invisibile: un patto su ciò che può essere vero e ciò che deve restare leggenda.
Quando qualcosa minaccia quel patto, non viene confutato: viene ignorato.
Scavi che mostrano strutture megalitiche in luoghi “impossibili”? Interrotti.
Oggetti che mettono in discussione la cronologia? Reinterpretati come “anomalie locali”.
Autori che parlano troppo chiaramente? Derisi, marginalizzati, ostracizzati.
Questo non avviene per malafede individuale, ma per inerzia sistemica. L’intero mondo accademico vive di fondi, autorizzazioni, pubblicazioni e riconoscimenti.
E chi viola le regole del gioco… non gioca più.
“Non c’è bisogno di censura, quando l’arma più potente è l’indifferenza sistemica.”— Graham Hancock
⚔️ Le guerre accademiche
Alcuni casi clamorosi:
Le ricerche di Virginia Steen-McIntyre, geologa americana che data siti archeologici del New Mexico a oltre 250.000 anni, vennero respinte non per errori, ma per “incongruenza con la storia accettata”.
Il professore russo Anatoly Fomenko e la sua “Nuova Cronologia” furono derisi globalmente, pur basandosi su analisi matematiche e astronomiche reali.
Le teorie di Zecharia Sitchin, Erich von Däniken e successivamente di autori come Michael Cremo o Robert Schoch, vennero etichettate come “pseudoarcheologia”, nonostante avessero basi documentali — magari controverse, ma concrete.
Il punto non è che tutti questi autori abbiano ragione. Il punto è che non si può nemmeno discutere della possibilità che possano averne.
In un mondo che si definisce scientifico, questa non è scienza: è dogma.
🗃️ Dove finiscono i dati scomodi?
Ci sono stanze chiuse. Musei che custodiscono ciò che non espongono. Scavi mai pubblicati. Campioni che scompaiono. Oggetti che appaiono in un inventario… e spariscono nel successivo.
Ogni grande museo ha un "archivio sommerso". E ogni governo ha, tra i suoi segreti, la gestione dell’antico.
Perché?
Perché ammettere l’esistenza di civiltà precedenti — forse più avanzate, forse non terrestri —
sconvolgerebbe ogni costruzione culturale attuale.
Religioni perderebbero la loro narrativa di “inizio”.
Stati perderebbero l’illusione di essere eredi primi della civiltà.
L’uomo moderno perderebbe l’orgoglio di essere all’apice della conoscenza.
“Non è difficile accettare una civiltà scomparsa.È difficile rinunciare al primato di essere noi i primi.”— Elias L’Artista
📦 Box di approfondimento
🔍 “Cos’è la pseudoarcheologia (e chi la decide)?”
Il termine pseudoarcheologia viene usato per indicare approcci non accettati dalla comunità scientifica mainstream. Ma spesso è applicato non sulla base di errori o frodi, bensì per la sola violazione dei paradigmi accademici attuali.
Ciò che oggi è considerato “pseudoscienza” potrebbe, domani, essere riscoperto come fondamento di una nuova visione. E questo è già successo molte volte nella storia delle scienze.
I grandi dimenticati non sono solo reperti, o teorie: sono interi popoli, interi saperi, intere versioni del mondo. Chi li cerca, è spesso deriso. Ma chi li trova… non torna più indietro.
Nel prossimo e ultimo segmento, apriamo lo sguardo. Non più sulla Terra… ma oltre. Perché se il passato custodisce tracce di contatto, forse è tempo di chiederci:
Abbiamo davvero sempre camminato da soli?
6. Verso un’archeologia interplanetaria
“Se davvero siamo figli delle stelle, allora i nostri padri non vivevano tutti su questa Terra.”— Elias L’Artista, Starman
Ogni civiltà antica ha raccontato lo stesso mito, con parole diverse: un tempo remoto in cui esseri venuti dal cielo discesero sulla Terra, portando conoscenza, leggi, arte, metallurgia, astronomia.
L’archeologia ufficiale archivia questi racconti come metafore.
Ma cosa accadrebbe se li prendessimo sul serio, almeno come ipotesi di partenza?
Non per abbandonare il rigore, ma per espanderlo oltre i confini planetari.
Benvenuti nel terreno sottile e affascinante della paleoastronautica. Un campo d’indagine che non nega la storia, ma che osa chiederle: “Cosa avete dimenticato?”
🌌 Le firme degli dèi nel DNA delle pietre
Esistono luoghi nel mondo che sembrano costruiti per essere letti dal cielo:
Le linee di Nazca, visibili solo dall’alto.
I grandi geoglifi dell’Amazzonia, scoperti solo con il lidar.
I cerchi di pietre africani di Mpumalanga, chiamati “calendari di Adamo”, ancora oggi inaccessibili a una cronologia sicura.
E poi ci sono i megaliti:
Sacsayhuamán, in Perù, con pietre tagliate al laser e incastrate al micron.
Baalbek, in Libano, con blocchi da 800 tonnellate posati a metri d’altezza.
Le piramidi bosniache, egizie, nubiane, azteche… tutte costruite secondo orientamenti astronomici perfetti.
Questi monumenti sembrano essere un codice pietrificato, un messaggio rivolto al cielo. Un messaggio che, forse, era rivolto a qualcuno là fuori.
👁️ Il contatto prima della religione
Molti “dèi” descritti nei testi sacri non agivano come entità spirituali, ma come esseri fisici, dotati di tecnologie avanzate:
Yahweh scende “su un carro di fuoco” e comunica attraverso una “voce di tuono”.
Quetzalcoatl vola “su una barca fumante”.
Enki e Enlil dividono i cieli, assegnano regni, creano servitori ibridi.
Erano veramente divinità? O erano, come suggeriscono Biglino, von Däniken e altri, esseri evoluti da altri mondi, la cui presenza ha dato origine al concetto stesso di divino?
“Gli dèi camminavano tra gli uomini. Ma gli uomini non li capivano, e così li chiamarono dèi.”— Tradizione vedica
Se questa ipotesi fosse anche solo in parte vera, allora l’archeologia tradizionale non è sufficiente. Serve una nuova archeologia: una scienza in grado di leggere non solo le pietre e i reperti, ma le traiettorie, i simboli, le ricorrenze, e i vuoti cronologici che suggeriscono interventi esterni.
Una archeologia interplanetaria.
🚀 Dalla Terra al cosmo… e ritorno
Oggi, la scienza sta facendo il giro lungo: parliamo di panspermia, DNA alieno, intelligenze non umane, vita su esopianeti. Ma questi concetti — così moderni — erano già nei testi antichi.
Gli Indiani parlavano di “vimana” volanti capaci di viaggiare tra i mondi.
Gli Egizi di “zattere celesti” e viaggi nel Duat.
I Maya di portali stellari e ritorni ciclici.
Forse non è una questione di “crederci” o meno. Forse è solo una questione di iniziare a guardare tutto con occhi nuovi.
“La vera rivoluzione della conoscenza non è scoprire il nuovo, ma smettere di negare l’antico.”— Elias L’Artista
📦 Box di approfondimento
🛸 Cos’è la paleoastronautica?
La paleoastronautica è una corrente di studio che ipotizza contatti tra civiltà umane antiche e intelligenze extraterrestri. Nata con gli scritti di Erich von Däniken (Gli Dei erano Astronauti, 1968), si è sviluppata attraverso le ricerche di autori come Zecharia Sitchin, Graham Hancock, Mauro Biglino, e altri.
Non pretende di sostituire l’archeologia, ma propone una chiave di lettura alternativa, basata su testi sacri, resti architettonici e incongruenze storiche. È oggi considerata una disciplina borderline, ma in costante espansione grazie all’interesse crescente del pubblico e di ricercatori indipendenti.
La Storia, quella vera, non inizia con la scrittura, ma con ciò che la scrittura non osa dire. Forse i nostri antenati non erano soli. Forse i nostri miti sono ricordi offuscati di un’epoca interstellare. E forse è tempo di prenderli sul serio.
Perché se anche solo una parte di tutto questo è vera, non siamo i primi… e non saremo gli ultimi.
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