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H1 – Le stelle erano già dentro di noi

  • Immagine del redattore: Elìa
    Elìa
  • 3 giorni fa
  • Tempo di lettura: 12 min

Perché alcuni miti parlano la lingua della genetica


La memoria del cielo scorre nel nostro sangue. Le antiche civiltà non erano ingenue: parlavano con simboli.


E a leggerli oggi, ci raccontano il corpo umano, il DNA, la creazione artificiale dell’uomo.


Questo articolo è un viaggio tra mito e genetica, alla scoperta di un linguaggio che i popoli antichi conoscevano – e noi abbiamo dimenticato.



  1. Introduzione: il codice nascosto nel mito

  2. Cosmogonie molecolari: quando i popoli parlavano in doppia elica

  3. Genetica culturale: come si trasmette il divino nel sangue

  4. Il mito di Prometeo e il gene rubato

  5. Il DNA come lastra sacra

  6. Ipotesi per i lettori del futuro



1. Introduzione



Immagina un’epoca in cui l’uomo era appena stato “formato”. Non nato, non evoluto. Formato.


Molti miti antichi – sumero-accadici, andini, vedici, hopi – parlano dell’essere umano come prodotto. Non creatura spontanea, ma creazione intenzionale. Un impasto, un assemblaggio. Una chimica divina.


E la cosa più incredibile è che le loro parole somigliano, oggi, ai nostri laboratori.

Il dio Enki “mescola l’essenza degli dèi all’argilla primordiale”.


I testi vedici parlano di “semi celesti” impiantati nel grembo della Terra. Presso i Dogon, la vita giunge da Sirio e porta una spirale che si muove nel sangue. Tutti parlano, in modo diverso, di una manipolazione della materia vivente.


Nel frattempo, la genetica moderna ci racconta che il nostro DNA contiene tratti inspiegabili, sequenze che non hanno corrispettivi nel regno animale, geni “orfani” che sembrano inseriti a forza, come blocchi di codice alieno. Alcuni scienziati parlano apertamente di architettura intelligente. E c’è chi ipotizza che l’Homo sapiens non sia figlio del caso, ma di un progetto.


Cosa succede se uniamo queste due narrative – mito e scienza – senza più deriderle a vicenda?

Quello che emerge è un paesaggio nuovo: una mappa del corpo umano tracciata già migliaia di anni fa, con simboli, storie, metafore che oggi suonano come linguaggio genetico arcaico. E forse, proprio in questi racconti, si nasconde il codice perduto delle nostre origini.


Questo articolo è un frammento tratto da Starman, il saggio che esplora come le civiltà antiche potrebbero aver lasciato tracce di un’origine non terrestre dell’uomo. Non si tratta di fantasia.


Ma nemmeno di dogma. È una chiamata a pensare. A guardare il passato con occhi nuovi. A cercare, nel profondo delle parole, la memoria molecolare del cielo.



2. Cosmogonie molecolari:

quando i popoli parlavano in doppia elica



Ci sono racconti antichi che sembrano scritti da poeti. Poi ci sono miti che, letti oggi, sembrano redatti da genetisti travestiti da sacerdoti. E il confine tra i due è molto più sottile di quanto si creda.


Quando le civiltà del passato parlavano della creazione dell’uomo, raramente lo facevano in termini puramente spirituali o simbolici. Parlavano di mescolanze, fusioni, manipolazioni, con una precisione che oggi, alla luce della biologia molecolare, suona inquietante.


“Il sangue dell’Anunna venne impastato con l’argilla della Terra.E così l’uomo fu formato, a immagine degli dèi.”– Enuma Elish, tavola VI

I testi sumero-accadici non sono gli unici. Anche nei Veda si parla di “semi celesti” piantati nella Terra. Nelle cosmogonie dei Dogon, i Nommo – esseri giunti da Sirio – portano la vita attraverso spirali che si muovono dentro l’acqua e il sangue. Il Popol Vuh narra di esseri umani creati con mais e “sostanze celesti”, dopo tentativi falliti con fango e legno.


Tutti questi racconti convergono su un’idea: l’uomo non nacque, fu costruito.


Ecco dove entra in gioco la genetica.


Nel 1953 Watson e Crick scoprirono la struttura a doppia elica del DNA, rivoluzionando per sempre la biologia. Ma l’immagine di due serpenti intrecciati era già antichissima: il caduceo di Ermes, i serpenti della Kundalini, i doppi draghi cinesi, le scale spiraliformi dei templi megalitici. La spirale è ovunque. Il serpente è ovunque. E dove c’è creazione o trasformazione, trovi una forma genetica in incognito.


“Il codice genetico è scritto in quattro lettere, e ogni cellula del nostro corpo lo legge come un libro. Ma se lo leggessimo anche noi? E se i miti ne fossero il preambolo poetico?”— Elias L’Artista, da Starman

Le cosmogonie antiche non descrivono solo l’origine dell’uomo: descrivono i suoi componenti, la sua natura ibrida, la trasmissione di “scintilla divina” attraverso il sangue o il respiro. E mentre la scienza moderna scopre l’epigenetica – ovvero come ambiente, intenzione e parole possano attivare o silenziare geni – ci rendiamo conto che i racconti sacri parlavano già di tutto questo, ma con un altro alfabeto.


Il mito come precursore molecolare.



📦 Box di approfondimento



🧬 Cos’è l’epigenetica sacra?


L’epigenetica è la scienza che studia come i fattori esterni (ambiente, traumi, emozioni, stile di vita) influenzano l’espressione del DNA, senza modificarne la sequenza.


In altre parole: i geni sono come interruttori, e il nostro vissuto decide cosa si accende o si spegne.


Ora, molte tradizioni antiche affermavano che certe parole, riti, suoni o immagini potessero “attivare il potenziale divino dell’uomo”. Senza saperlo, stavano già raccontando l’epigenetica – con un linguaggio poetico, magico, ma stranamente coerente.


La doppia elica, allora, non è solo un simbolo scientifico: è una figura mitica primordiale, nascosta nelle leggende e nei templi, come un codice cifrato.


Quando i popoli antichi parlavano della “formazione dell’uomo”, stavano forse parlando di ingegneria biologica?


O erano solo metafore? Coincidenze?


La scienza ci dà strumenti per capire.


Ma sono i miti a custodire le chiavi.


Nella prossima sezione, entreremo nel cuore di questa trasmissione: il sangue come veicolo del divino. Non solo fluido vitale, ma archivio genetico sacro.




3. Genetica culturale: come si trasmette il divino nel sangue



Il sangue non è mai stato solo un fluido per gli antichi. Era portatore di memoria, sigillo di lignaggio, traccia degli dèi. Ogni civiltà lo ha trattato come qualcosa di sacro, potente, irripetibile.


Oggi la scienza ci dice che nel sangue risiedono i codici genetici. Contiene il nostro DNA, le nostre mutazioni, i tratti ereditari. Ma anche predisposizioni emotive, schemi cognitivi, e memorie biologiche che non sempre comprendiamo.


E se le culture antiche, nel parlare di “sangue divino”, stessero davvero riferendosi a una genetica ereditaria non terrestre?


👑 Sangue reale, sangue stellare


L’idea che alcune stirpi umane abbiano origine diversa è antichissima:


  • I faraoni d’Egitto si dicevano figli diretti di Ra, nati da “matrimoni celesti”.

  • Gli Inca erano “figli del Sole” e discendenti di Viracocha, essere venuto dal cielo.

  • I sovrani cinesi dell’era mitologica erano chiamati Tianzi, “figli del Cielo”.

  • Nei testi sumero-accadici, l’uomo è creato mescolando il sangue di un dio sacrificato con l’argilla terrestre.


Queste narrazioni non indicano solo un’origine spirituale, ma una trasmissione concreta, biologica. Il sangue come portatore di un codice, il DNA come matrice del divino.


“Gli dèi versarono il loro sangue per creare l’uomo.E l’uomo divenne capace di comprendere il cielo.”— Atrahasis, tavola I

Non è un caso che le dinastie reali difendessero ossessivamente la “purezza del sangue”. Ma cosa significa, davvero? Forse volevano preservare un patrimonio genetico percepito come superiore –perché trasmetteva qualcosa di più di semplici tratti fisici.


🧬 Il divino come informazione codificata


Nel linguaggio moderno potremmo dire: il divino era visto come “software” inserito nel corpo tramite sangue.


E il corpo come hardware biologico costruito per ospitarlo.


Questo cambia tutto.


Non siamo più nel campo delle credenze religiose:siamo in un’ipotesi di trasmissione genetica intelligente, dove– il “divino” è un programma,– il sangue è il dispositivo di trasporto,– l’essere umano è il vettore biologico.

Nel libro Starman, questo tema viene affrontato come nucleo centrale di una nuova cosmogenesi: l’uomo come risultato ibrido, nato dall’unione tra materia terrestre e codice informazionale esterno. Un’ipotesi che trova echi in ogni tradizione e – oggi – anche nei laboratori.



📦 Box di approfondimento


🩸 Sangue e coscienza: cosa può contenere davvero?


La biologia moderna conferma che il sangue non contiene solo informazioni fisiche, ma trasporta ormoni, neurotrasmettitori, enzimi, e persino messaggi molecolari che influenzano l’umore, la memoria, l’identità. Alcuni studi emergenti parlano di memoria cellulare, in cui traumi, predisposizioni e capacità potrebbero essere “registrati” e trasmessi per via genetica.


Anticamente, questo era chiamato “memoria ancestrale”.


Oggi potremmo chiamarla “epigenetica esperienziale”.


L’idea che il sangue custodisca il divino non è solo mito, ma possibile metafora di una realtà biologica avanzata.


E quando gli antichi parlavano di lignaggi stellari, forse non intendevano solo genealogie favolose, ma vere e proprie linee genetiche risalenti a un’origine non terrestre.


Nel prossimo passaggio, vedremo un mito esemplare di tutto questo: Prometeo, il portatore del fuoco… e forse del codice genetico rubato agli dèi.



4. Il mito di Prometeo e il gene rubato



Prometeo non è solo il titano che ha donato il fuoco agli uomini. È il trasgressore archetipico, il ladro di una conoscenza proibita. E ciò che ha rubato non è semplicemente una fiamma, ma una scintilla di potere che trasforma l’uomo in qualcosa di altro.


“Rubò il fuoco e lo portò agli uomini, affinché potessero diventare come dèi.”— Esiodo, Teogonia

La lettura classica vede in questo racconto una metafora dell’intelligenza. Ma in Starman, si propone un’altra ipotesi: Prometeo potrebbe simboleggiare la trasmissione di un codice genetico alieno, un gesto di bioingegneria che modifica la natura umana per sempre.


🧬 Fuoco = Codice?


Nel linguaggio simbolico, il “fuoco” non è solo energia. È conoscenza trasformativa, coscienza espansa, capacità creativa. E in termini biologici, potrebbe rappresentare la trasmissione di una sequenza informativa: un gene.


Una matrice.


Qualcosa che accende l’uomo dall’interno, rendendolo capace di superare la sua condizione originaria.


Il gesto di Prometeo, allora, ricorda l’atto di chi inserisce un nuovo frammento nel codice sorgente dell’uomo.


Una modifica.


Una mutazione.


Proprio come quelle che gli scienziati oggi chiamano inserzioni exogene nel DNA.


Anche la punizione che segue – il fegato divorato da un’aquila ogni giorno – ha una valenza biologica: il fegato è l’organo che rigenera, simbolo per eccellenza della riscrittura interna.


Un castigo eterno per chi ha violato l’ordine naturale inserendo un’alterazione non autorizzata.


“Il mito, nel suo linguaggio cifrato, potrebbe aver raccontato un atto di ingegneria genetica antica. Un dio ribelle, un codice rubato, un’umanità trasformata.”— Elias L’Artista, da Starman

👁️ Il parallelo sumero: Enki e la creazione dell’Uomo


Lo stesso schema si ripete nella mitologia sumera:


  • Enki, dio della sapienza, disobbedisce agli ordini superiori per aiutare gli uomini.

  • Mescola il sangue di un dio caduto con l’argilla, creando l’essere umano.

  • Viene ostacolato da Enlil, dio dell’ordine, che vuole sterminare l’umanità con un diluvio.


Anche qui: gene rubato, creazione ibrida, punizione divina.


Siamo davanti a un pattern narrativo universale:


  • Una divinità ribelle,

  • Un’alterazione non prevista della biologia umana,

  • Una nuova creatura dotata di coscienza,

  • Un castigo cosmico.


Il vero crimine non è stato “dare il fuoco”,ma modificare l’uomo. E renderlo simile agli dèi.



📦 Box di approfondimento


🧠 L’archetipo del trasgressore genetico


Prometeo, Enki, Lucifer, Quetzalcoatl... Ogni cultura ha una figura che porta la conoscenza proibita all’umanità. Oggi possiamo reinterpretare questi archetipi come simboli di un intervento esterno sulla genetica umana, che rompe l’equilibrio iniziale. Il mito diventa così una cronaca deformata di un intervento reale – registrata, trasmessa e poi criptata nel linguaggio simbolico.


Che cosa ci sta dicendo davvero questo racconto?


Che qualcuno – o qualcosa – ha modificato il nostro codice. E che la memoria di questo evento è sopravvissuta nei miti, sotto forma di simboli e archetipi. Prometeo, forse, è il nome antico di un atto irreversibile: l’ingegnerizzazione dell’essere umano.


E se così fosse, dove troveremmo le prove? Forse nel nostro stesso corpo. Forse incise nel DNA, come una lastra sacra.



5. Il DNA come lastra sacra



Le antiche civiltà avevano un rapporto profondamente reverente con la scrittura. Non era solo un mezzo per comunicare: era un atto sacro. Le prime parole incise sull’argilla non raccontano mercati, ma cosmologie. E spesso, le tavole più importanti erano lastroni incisi, pietre votive, simboli che custodivano il segreto della vita.


Oggi, sappiamo che nel nostro corpo esiste una lastra incisa su scala submicroscopica: il DNA.E in essa, tutte le istruzioni per costruire, far crescere e mantenere in vita un essere umano.


📜 Le “tavole” del corpo umano


Pensiamo a come le civiltà del passato registravano il sapere:– Tavole d’argilla, steli, codici, scritture su superfici resistenti al tempo.– Testi mitologici in forma di genealogie, liste, combinazioni di segni e simboli.– Le “tavole della legge” di Mosè, o le Tavole di Thoth nell’Egitto ermetico.


La somiglianza è sottile ma precisa: incidere qualcosa di sacro su un supporto durevole per tramandarlo alle generazioni future.


Oggi scopriamo che le cellule del nostro corpo fanno esattamente questo, da milioni di anni.


Ogni volta che si riproducono, copiano fedelmente una sequenza di informazioni incisa su una lastra molecolare: la doppia elica del DNA.


Il corpo è la tavola. Il DNA è la scrittura. Il mito è il manuale perduto che ne racconta la provenienza.


🌀 Simboli genetici nel passato


È difficile ignorare il fatto che molti simboli religiosi e spirituali del passato somigliano a rappresentazioni stilizzate di sequenze genetiche.


  • Il serpente doppio del caduceo.

  • Le spirali dei petroglifi neolitici.

  • I mandala orientali che riflettono strutture concentriche come quelle del nucleo cellulare.

  • Le croci ansate egizie che evocano il ciclo della vita e della trasmissione.


Nessuno può affermare con certezza che i popoli antichi conoscessero la biologia molecolare. Ma è evidente che avevano percepito un ordine sacro nascosto nel corpo umano.


Un ordine codificato, trasmissibile, degno di essere venerato.


E questo è esattamente ciò che il DNA è: una lastra sacra biologica.



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📚 Cos’è una “lastra genetica”?


Il termine non esiste nei manuali scientifici, ma può rendere bene l’idea: pensiamo al DNA come una lastra incisa con lettere biochimiche (A, T, C, G). Queste lettere, combinate in sequenze precise, contengono istruzioni dettagliate per costruire ogni parte del nostro corpo.


In ogni cellula, questo “manuale” viene letto, copiato, e trasmesso.


Proprio come una tavola antica portava il sapere da una generazione all’altra, il nostro DNA è una memoria vivente che attraversa i secoli sotto forma di codice.


Nel passato, chi controllava la scrittura, controllava la memoria. Oggi, chi decodifica il DNA, controlla le chiavi dell’evoluzione.


E se, come i miti suggeriscono, qualcuno in un tempo remoto ha inciso questa lastra con una mano esterna, allora la nostra stessa esistenza è un messaggio in codice.


Un messaggio che stiamo appena iniziando a leggere. E che potrebbe rivelare, nella sua grammatica più profonda, non solo chi siamo… ma da dove veniamo.


Nella prossima e ultima sezione, ci sposteremo dal passato al presente, per porci la domanda più importante:


Che cosa fare di queste ipotesi oggi? Come possono cambiare il nostro modo di vedere la storia, la scienza e noi stessi?



6. Ipotesi per i lettori del futuro



E se fosse tutto vero? Non in senso assoluto. Ma nel modo in cui un’intuizione precede una scoperta, nel modo in cui un mito antico può contenere una verità moderna non ancora capita fino in fondo.


Forse è il momento di rivedere radicalmente il concetto stesso di “mito”.


Per millenni li abbiamo considerati favole, allegorie, tentativi primitivi di spiegare il mondo. Ma se invece fossero archivi di memoria?


Se le antiche civiltà avessero codificato ciò che sapevano in simboli, immagini e racconti, lasciandoci mappe criptate da leggere con strumenti nuovi?


Oggi disponiamo di questi strumenti:


  • la genetica,

  • l’epigenetica,

  • la linguistica comparata,

  • l’archeoastronomia,

  • la neurobiologia della memoria.


Eppure, ci manca un approccio sincretico. Ci manca il coraggio di mettere insieme il mito e la scienza, di leggere le cosmogonie con lo sguardo dell’ingegnere, del biologo, del programmatore.

Il libro Starman nasce esattamente da questo: non per dare risposte, ma per ridefinire le domande.


Cosa siamo davvero?Chi ha scritto il nostro codice?E a quale scopo?


🧭 Verso una grammatica nuova


Leggere i testi antichi come mappe genetiche metaforiche non è solo un esercizio intellettuale.


È un gesto rivoluzionario.


Significa riconoscere che l’uomo ha sempre cercato di spiegarsi la propria origine, e che forse ci è riuscito molto prima della scienza moderna, usando un linguaggio diverso, ma non per questo inferiore.


Oggi, possiamo rileggere quel linguaggio. Abbiamo il codice, abbiamo le chiavi. E soprattutto: abbiamo le domande giuste.



📦 Box di riflessione


🧠 E se il mito fossimo noi?


Forse non sono i miti a essere antichi. Forse siamo noi il mito vivente di qualcun altro. Forse la nostra biologia, il nostro linguaggio, il nostro desiderio di elevarci sono la continuazione di un gesto cosmico cominciato molto tempo fa. Un esperimento, una scintilla, un’eco.


E il vero compito del lettore del futuro sarà riconoscersi come parte attiva di questo racconto.

Così si chiude il viaggio di questo articolo. Ma è solo un frammento del percorso più grande che Starman propone. Una chiamata a guardare i testi, le rovine, le leggende e perfino il proprio corpo con occhi nuovi.


Perché forse, nel profondo, non abbiamo mai smesso di cercare gli dèi.E forse, non abbiamo mai smesso di esserlo.



🚀 Ora sai qualcosa che non puoi dimenticare



Le antiche civiltà non erano cieche. Vedevano. Sentivano. Tramandavano. E il loro messaggio è arrivato fino a noi — inciso nei simboli, nelle ossa, nel sangue.


Oggi hai uno sguardo nuovo sul mito. Ma soprattutto: hai una chiave.


La domanda ora è: vuoi usarla?


Perché se questo articolo ti ha fatto vibrare anche solo una domanda, il libro da cui tutto parte — Starman — ti farà riscrivere completamente ciò che pensi sull’origine dell’uomo.


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