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Immagine del redattoreMonica

L'etnico canone di bellezza

Inconsciamente abituati ad un determinato canone di bellezza estetico, nella maggior parte dei paesi Occidentali è difficile rilevare un concetto di bello che superi la prestanza fisica. Non è la stessa cosa in altri Paesi del mondo in cui la bellezza diviene connubio di appartenenza: ad un ceto sociale e allo spirito divino.




Nella lontana e misteriosa India il canone di bellezza prevede l'ornamento e, in base ad esso, si identificano donne e uomini di diversi ceti sociali o la condizione matrimoniale degli stessi.

L'ornamento diventa un simbolo visivo immediato per cui, ad esempio, chi vede una donna che porta il tikka sulla fronte, il puntino rosso dipinto sulla zona del terzo occhio, sa già che essa non vive una condizione di vedovanza.


Se, invece, il punto rosso si trova sulla sommità della testa (Sindoor), la condizione di quella donna è di appartenenza ad un uomo.


Il canone di bellezza, in tal modo, diventa un ordine inconscio percepibile da chiunque semplicemente attraverso la visione.


In questo articolo andrò ad esporre ed analizzare  alcuni canoni di bellezza molto lontani da noi, sia culturalmente che nello spazio.

 

La concezione di bellezza in India

 

Proseguendo nell'esempio della donna indiana, troviamo in primis che gli ornamenti che costituiscono simboli di bellezza sono 16, chiamati Solah Shringar e ricoprono il corpo della donna dalla testa ai piedi. Il 16 sta ad indicare l'età in cui una donna raggiunge la maturità coniugale.


Il Kajal, così di moda dalle nostre parti, in India viene utilizzato tanto dalle donne quanto dagli uomini. Consiste in una miscela di solfuro di antimonio ottenuta dalla macinazione di galena, malachite, antimonio miscelati con grasso animale. Si ottiene una colorazione nera o grigio bluastra ed è utilizzato indifferentemente su entrambi i sessi e anche sui bambini poiché, oltre all'effetto estetico di ingrandire gli occhi, è considerato una protezione dalle influenze negative.

 

Il Mang Tikka, la catenella che si aggancia alla sommità del capo e cade al centro della fronte, dichiara che la ragazza che lo porta è fidanzata e possiede le capacità di portare avanti la stirpe del clan cui, una volta sposata, andrà ad appartenere.


Il Nath è il tipico anellino al naso delle donne indiane che viene apposto alla sposa il giorno del matrimonio. Il naso è considerato essere in correlazione diretta con gli organi genitali e la nostra prima notte di nozze, in India è chiamata cerimonia della rimozione del Nath.


Il Rani Haar è un girocollo molto ricco che viene donato alla sposa il giorno del matrimonio dalla famiglia dello sposo. Solitamente conserva, all'interno della incastonatura della pietra centrale, un incantesimo di protezione o propiziatorio.

 

Le orecchie sono un altro elemento fisico importante, direttamente collegato alla maturità spirituale. Quanto più i lobi sono allungati, infatti, tanto più la donna dimostra saggezza. Per tale motivo gli orecchini, karn phool, sono molto grandi e pesanti così da forzare l'allungamento del lobo.

 

I braccialetti (chudi) costituiscono l'oggetto di un complicato rituale di matrimonio. Il giorno delle nozze lo zio della sposa le regala un set di 21 braccialetti rossi e avorio che la sposa indosserà per 40 giorni. Trascorso questo periodo, i braccialetti saranno rimossi dalla suocera che li sostituirà con due braccialetti di vetro da portare per sempre o fino alla morte del marito, caso in cui i braccialetti vengono spezzati e nessun altro viene indossato.


Questi sono i bangles e, in base al colore, possiedono capacità propiziatorie: il giallo, ad esempio, destina la donna che lo porta alla felicità; il bianco propizia un nuovo inizio, l'arancione certifica il successo, il rosso forza ed energia, il blu saggezza, il verde fortuna, ecc...

 

Anche il modo in cui vengono tenuti i capelli è un simbolo importante per la donna indiana. Sciolti indicano un comportamento irrispettoso per le tradizioni e per la divinità perciò vengono intrecciati e unti con oli profumati rappresentando così l'unione della trimurti Bhrama, Shiva e Vishnu.


Le cavigliere, infine, payal e bichua, presentano dei sonaglietti e sono indossate come da tradizione per allontanare i serpenti  e richiamare le energie divine in aiuto nel percorso dell'esistenza.

 

Rituali di bellezza nell'Africa Subsahariana

 

Spostandoci nel continente africano ci immergiamo in un canone di bellezza dove i colori costituiscono i simboli del corpo e dello spirito.

Tatuaggi, acconciature, scarificazioni hanno un impatto fortemente comunicativo e rispecchiano tradizioni millenarie.

I colori principalmente utilizzati sono tre: il bianco per il lutto, il rosso per la fecondità e il nero per eventi puramente materiali (come la caccia o la guerra)

 

In Namibia la donna deve possedere la bellezza di una statua perciò si cosparge corpo e capelli con un impasto di polvere d'ocra, erbe e burro di capra per assomigliare ad una scultura di terracotta.

 

In Etiopia, nei clan dei Mursi, alle ragazze di 15 anni viene praticato un taglietto rituale nel labbro inferiore cui viene poi applicato un disco, a mano a mano più largo, di legno o d'argilla. La grandezza del disco indica la posizione sociale della donna che lo porta. Stessa cosa avviene per le orecchie e sta ad indicare, come in un rituale di passaggio, il raggiungimento della maturità sessuale.

 

Nell'Africa Subsahariana è tuttora in uso un antico metodo simboleggiante la bellezza legata alla possibilità di essere in contatto con gli antenati. Si tratta della scarificazione che avviene tramite sollevamento di parti della cute e riempimento della ferita con erbe o miscugli tipo hennè, al fine di rendere più visibile la conseguente cicatrice. Tutte le parti del corpo sono utilizzate per produrre tali ferite che seguono un vero e proprio linguaggio simbolico. Un canone di bellezza in cui si riconoscono appartenenze a clan e lignaggi famigliari, nonché la comunione con gli spiriti degli antenati.

 

La bellezza Bihaiku del Giappone

 

Spostandoci nell'estremo est del mondo giungiamo in Giappone dove il canone di bellezza ha il colore bianco, Haiku. Ciò deriva dal fatto che le classi più basse, costrette a lavori nei campi e nelle risaie, hanno la pelle brunita e rovinata dall'esposizione alle intemperie sicché il bianco ad ogni costo diventa un potente simbolo distintivo.


La pelle bianchissima è ottenuta non soltanto riparandosi con ogni mezzo dai raggi solari bensì anche tramite l'ausilio di veri e proprio prodotti sbiancanti che, se in antichità erano ottenuti mescolando crusca di riso e polvere di perle macinate, oggi sono sostituiti da prodotti di make-up provenienti dai paesi occidentali.


L'espressione più comunemente usata per definire la bellezza di una donna è la tua pelle è come un mochi, il cremoso dolce di riso tipico del Giappone.

 

In conclusione

 

Forse la cultura della bellezza praticata in Giappone è l'unica, oltre alla nostra occidentale, a curarsi solo dell'effimera corporalità. Come abbiamo visto, infatti, sia tra i popoli dell'India che in Africa la bellezza diviene simbolo di unione con lo spirito degli Dei o degli antenati, secondo le credenze e, dunque, una sorta di rituale olistico che contempla, allo stesso tempo, il bello dal punto di vista estetico e spirituale.


Lo stesso spirito della Kalokagathia greca che intendeva la bellezza scaturita dalla commistione di kalos (bello) e agathos (buono) che rappresentava l'ideale di perfezione nella condizione umana.

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