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La voce nella testa – Perché parliamo con noi stessi?

  • Immagine del redattore: Elìa
    Elìa
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 2 min

Tutti lo fanno, ma nessuno ne parla. Il dialogo interiore non è un disturbo: è una funzione avanzata del pensiero. Ma chi stiamo ascoltando davvero?



Dialogare con se stessi: strano o normale?


Quante volte ti sei detto “ce la posso fare”, “non dovevo farlo”, “ora stai calmo”? La scienza lo chiama inner speech, o discorso interiore. Un’attività continua e spesso inconscia in cui parliamo nella mente con un’altra voce… che è la nostra.


Ma perché lo facciamo? E soprattutto: chi stiamo cercando di convincere?


Cosa dice la neuroscienza


Il dialogo interno coinvolge diverse aree del cervello:


  • l’area di Broca, legata al linguaggio parlato;

  • la corteccia prefrontale, sede della riflessione;

  • e in alcuni casi, persino il sistema limbico, collegato alle emozioni.


Secondo uno studio del 2020 (Alderson-Day et al.), il 96% delle persone ammette di “parlare con sé stessa”.E non si tratta di schizofrenia o stranezza: è una strategia cognitiva evoluta, utile per:


  • prendere decisioni,

  • regolare l’emotività,

  • simulare conversazioni sociali future,

  • creare un senso di sé stabile nel tempo.


Il pensiero nasce dal dialogo


Il celebre psicologo Lev Vygotskij sosteneva che il pensiero si sviluppa prima come linguaggio esterno, poi interiorizzato. Quindi, in un certo senso, parlare da soli è come pensare ad alta voce, ma nel silenzio.


Bambini e adulti usano il dialogo interno per:


  • motivarsi (“puoi farcela”),

  • criticarsi (“sei stato un idiota”),

  • immaginare (“e se avessi detto questo?”)


È il nostro teatro mentale. E spesso, è lo spazio dove avviene il cambiamento.


Ma… e se quella voce non fossimo noi?


Alcune culture antiche credevano che la voce interiore fosse il daimon, una guida spirituale. Anche Socrate diceva di “ascoltare il suo demone”, che gli suggeriva cosa non fare. Nella psicologia junghiana, quella voce può essere una parte archetipica del Sé: una maschera, un’ombra, un antenato.


E se il cervello fosse una radio, e il pensiero un segnale?


Non è solo filosofia: alcune teorie moderne sulla coscienza (come quella di Julian Jaynes) ipotizzano che anticamente l’uomo percepisse davvero la coscienza come voce esterna, simile a un’allucinazione uditiva accettata e culturale.


🧠 Cue segnala:


Se parli con te stesso, non sei pazzo. Stai allenando la mente più evoluta che esista, e forse ascoltando una parte più antica di te. Quella voce non è da zittire. È da capire.

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